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In Gesù, il chicco di grano che muore per portare frutto

Il commento al vangelo della V Domenica di Quaresima (21 marzo 2021) a cura di monsignor Giacomo D'Anna.


Con la quinta ed ultima domenica di Quaresima concludiamo il nostro cammino penitenziale, per disporci alla celebrazione della Settimana Santa, la settimana della passione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. La Liturgia della Parola di questa domenica ruota intorno all’immagine del chicco di grano che muore per potare frutto.

Il vangelo inizia con il desiderio di alcuni greci che chiedono ad uno degli apostoli, Filippo, di poter vedere Gesù. È una richiesta spirituale che viene dal profondo del cuore e che è iscritta nell’intimo di ognuno di noi. Ma perché i greci vogliono vedere Gesù? Perché noi vogliamo vedere Gesù? Questo comune desiderio è motivato più da una semplice curiosità, per averne sentito parlare, perché siamo stati affascinati dal suo messaggio e colpiti dai suoi miracoli, o piuttosto perché comprendiamo che solo Lui è la via, la verità la vita e dunque la risposta a tutte le nostre necessità? “Tu ci hai fatto per Te e il nostro cuore è inquieto, non ha pace, finché non trova pace in te”. È questo il grido del grande sant’Agostino nelle memorabili Confessioni, che descrivono il nostro bisogno e la sete di Dio. Al tempo di Gesù gli ebrei non potevano entrare in contatto con i pagani neanche verbalmente a causa delle leggi di purità. Gesù non si crea problemi ed accetta la richiesta. In questo sua libera decisione, non a caso posta quando ormai “è giunta l’ora”, si riflette la volontà del Signore di ammettere alla sua sequela non solo i pii israeliti osservanti delle Legge, ma anche i pagani. D’altronde anche nella scena del suo primo apparire nella storia, il giorno del suo Natale, alla grotta di Betlemme, subito dopo i pastori, i primi ad arrivare sono i Magi, simbolo dei più lontani del tempo, segno dei tanti extracomunitari e migranti di oggi. Quella scena, che noi celebriamo ogni anno il giorno dell’Epifania, apre la comunità cristiana all’universalità (cattolicità) della fede, e per questo preghiamo: “Ti adoreranno Signore tutti i popoli della terra”. Il piccolo gregge allora comincia ad allargarsi per far posto e accogliere tutti gli uomini di buona volontà, e quanti cercano Dio con cuore sincero. Gesù accetta l’incontro ed è necessaria una sua autopresentazione. Chi di noi, soprattutto se rivestito di un certo incarico o autorità, di un alto titolo o qualità, non userebbe il termine o l’immagine più altisonante e trionfante per proporsi? Invece no, Gesù si presenta come un semplice chicco di fumento che deve cadere in terra, morire, marcire per poi risorgere a vita nuova e portare molto frutto. Non possiamo non leggere in questa parabola una chiara allusione al mistero della Croce e dunque al mistero della salvezza che Gesù realizzerà da lì a poco, essendo tra l’altro questo l’ultimo suo discorso pubblico prima della passione. Ciò che conta per noi è comprendere l’insegnamento di Gesù, indispensabile per la vita di quanti si dicono cristiani e dunque suoi discepoli, disposti a seguire le orme del grande Maestro che insegna con la parola e con l’esempio la logica non del fiorire ma del marcire, non del vincere ma del perdere, non dell’apparire ma dello scomparire. È la logica dell’amore supremo di Dio, la logica del Vangelo. Dobbiamo riconoscere che tale mentalità evangelica, con al centro il mistero ella croce, potrebbe appare anche a noi cristiani qualcosa di incomprensibile e inaccettabile. Eppure sappiamo che la croce non è semplicemente sinonimo di fatica, dolore, fallimento, ma è la prova più grande dell’amore vero, quello di Dio, che trova il suo apice nella piena comunione e solidarietà con gli uomini, espresse dal fatto che “chi ama la propria vita la perde e chi la odia la conserverà per sempre”. Nella croce allora vediamo un amore forte, ostinato, che non si lascia scoraggiare e vincere da niente e da nessuno. Il Dio dei cristiani non è quel Dio forte, autoritario, invincibile che tutti si aspettano e desiderano, ma un Dio che si consegna per amore nelle mani degli uomini, che “mette il suo corpo nelle loro mani”, che si abbandona al nostro amore, sperando in una nostra sincera e gioiosa risposta, seppur debole. Solo seguendo il suo esempio e scegliendo di abbracciare ogni giorno la nostra croce, offrendo anche noi la vita per amore dei fratelli, saremo testimoni credibili dell’amore di Dio che libera, guarisce e salva.

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