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Da Betlemme ad oggi, «riscoprire il senso della famiglia».

Il commento al Vangelo della domenica a cura del Parroco monsignor Giacomo D'Anna.


Ogni anno la Liturgia, dopo il Natale, ci invita nella domenica successiva a vivere la festa della Santa Famiglia. È certamente un modo concreto per farci entrare ancor più profondamente nel mistero dell’Incarnazione, che a Natale è stato rappresentato dal presepe, luogo nel quale, accanto a Gesù, non possiamo non notare la presenza di un papà che lo ha accolto e custodito con singolare coraggio e di una mamma che lo ha partorito e allevato con ineguagliabile amore e tenerezza. È la Santa Famiglia, che la liturgia definisce «esperta nel patire», ma che proprio per questo diviene esempio di umiltà e semplicità, povertà e umanità.

La celebrazione della festa odierna ha certamente come primo obiettivo quello di farci conoscere, apprezzare e amare di più la famiglia terrena di Gesù Cristo per seguirne l’esempio e far sì che anche le nostre famiglie possano divenire ogni giorno di più comunità di autentica fede e di vero amore. C’è poi una seconda finalità, vale a dire farci riflettere sul senso della famiglia oggi, la famiglia nel mondo contemporaneo, pregare affinché anche in essa «possano fiorire le stesse virtù e lo stesso amore della famiglia di Nazareth, per poter godere della gioia senza fine», nella vita presente e in quella futura. La famiglia di Nazareth è dunque vera famiglia perché fondata sulla fede in Dio. Essendo anch’essa una famiglia ebrea, come tutto il popolo d’Israele, sa che la fede nel Signore passa dall’osservanza della Legge. Ecco perché il vangelo di Luca, che leggiamo in questa domenica, sottolinea che «quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, i genitori portarono il bambino a Gerusalemme, per presentarlo al Signore». Un gesto rituale della religione ebraica, che dice innanzitutto un indiscutibile segno di fede e di amore verso il Signore. Esso ci interroga su quale posto occupa la fede in Dio nelle nostre famiglie, fede che, avendo oggi superato la mentalità legalista ebraica, non si esprime più tanto nell’osservanza severa e scrupolosa dei precetti della Legge antica, ma nell’accoglienza del comandamento vero, quello dell’amore. La fede allora si esprime nell’amore vero per il Signore (fede), e nell’amore vero per il prossimo (carità), in primis per i propri parenti e familiari. La fede poi è anche senso della preghiera. Da qui un secondo interrogativo: quale posto occupa la preghiera nelle nostre famiglie? Ricordo un quadretto che una mia zia aveva all’ingresso della sua casetta in Canada, che ho avuto la fortuna di visitare più volte. Nel quadretto vi era scritto: «The family that pray toghether, stay toghether», ossia «la famiglia che prega insieme, resta insieme». Quanto è bello! Ma soprattutto, quanto è vero! Quante difficoltà, sofferenze, crisi, separazioni si sarebbero potute superare ed evitare se nelle nostre famiglie si fosse pregato di più, se davvero lo spirito dell’orazione e della preghiera sarebbe stato ogni giorno il vero pane quotidiano, senza per questo cadere nello spiritualismo vuoto e insignificante di chi aspetta la manna dal cielo. È necessario, al contrario, rimanere nell’atteggiamento di una fede vera e operosa, che ti spinge a guardare in faccia la realtà, con i suoi drammi e i suoi problemi, che ti aiuta a non arrenderti mai, anzi a lottare e combattere con tutte le tue forze per la loro risoluzione, così da permettere alla famiglia stessa di restare in piedi, di rimanere unita nella pace e nella gioia, non solo per un lasso di tempo più o meno lungo, ma per sempre, «finché morte non ci separi». Mai come ai nostri giorni l’istituzione famiglia è minata e minacciata. Si vorrebbe, almeno così a volte ci sembra, cambiarla, stravolgerla, distruggerla ad ogni costo. Eppure è la realtà più semplice e bella che esista, specialmente se consideriamo che persino Gesù, il Figlio di Dio, che in quanto tale non aveva bisogno di niente e di nessuno, non si è voluto privare della gioia di avere una famiglia vera e propria tutta sua, non si è voluto privare della gioia e della tenerezza di dire e di chiamare con le sue labbra divine: «mamma» e «papà». Queste due paroline le comprendiamo e apprezziamo solo quando purtroppo non possiamo ripeterle più perché i nostri genitori non sono più fisicamente accanto a noi. Preghiamo per tutte le famiglie, ringraziamo il Signore per avercene data una, che per quanto “sgangherata” è sempre la nostra famiglia, per la quale non pregheremo, non lavoreremo mai abbastanza, in modo da renderla sempre più bella, gioiosa, in una sola parola, più cristiana.



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