Il commento al vangelo della Domenica a cura di monsignor Giacomo D'Anna
«E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Davvero qui abbiamo il cuore della rivelazione cristiana. Il termine latino «Verbum», volutamente reso in italiano con «Verbo», traduce e indica la «Parola». Il pensiero non può non andare immediatamente a quella Parola preesistente, viva, vera ed efficace, una parola creatrice, così come ci racconta il libro della Genesi nei suoi primi versetti, quando ci descrive la creazione del mondo. Lo stesso Giovanni nel Prologo scrive: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio… tutto è stato fatto per mezzo di lui (Verbo) e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste senza di lui» (Gv. 1,1-3).
È certamente un modo teologico per dire che con il Natale del Signore ci troviamo davanti a una nuova creazione. Con il Natale nasce una nuova umanità, più bella, più forte, più santa, perché da oggi la natura umana è stata assunta dal Verbo. Assumendo questa nostra umanità fatta di fragilità e debolezza, il Salvatore ha voluto redimerla dal di dentro, facendola sua, e così l’ha purificata e salvata. Ecco perché i Padri della Chiesa proclameranno con gioia: «Oh ammirabile scambio!». Da quel giorno l‘umanità è stata sciolta dall’antica maledizione, data ai nostri progenitori, per entrare nel segno della benedizione e di Dio, seppur ancora sotto il segno di una inevitabile debolezza e fragilità. L’altra parola è quell’habitavit in nobis, che abbiamo tradotto «venne ad abitare in mezzo a noi». Non dobbiamo però relegare questa meravigliosa verità e presenza a un passato remoto, a un fatto ormai vecchio e sorpassato, bensì affermare che quell’habitavit in nobis significa qualcosa che riguarda e tocca il nostro presente, una venuta che rimane per sempre, come esprime la traduzione letteraria del verbo greco, che indica il «piantare la sua tenda in mezzo a noi». Ma noi crediamo che Gesù è veramente ancora presente e operante in mezzo a noi? Ma dove, allora, è presente, si chiederà qualcuno? La Chiesa non ha dubbi: è presente quando prega e loda, secondo la sua promessa: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro» (Mt 18,20), dunque è presente in modo efficace nell’ascolto della Parola e nella celebrazione dei sacramenti, ma è presente in modo speciale nei fratelli poveri e sofferenti, con i quali Gesù stesso si è identificato, quando ci ha detto: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi più piccoli lo avete fatto a me» (Mt 25,31- 46). Chiediamoci quale risposta Egli ha avuto a suo tempo, quale risposta oggi ha da parte dell’umanità da Lui immensamente amata e redenta. Ce lo dice con grande realismo, e non per questo senza un velo di profonda amarezza, Giovanni: «Venne tra la sua gente e i suoi non l’hanno accolto». Mi pare, anzi ne sono certo, che la storia si ripeta. Ieri, oggi e sempre, sembra esserci lo stesso ed identico “destino”: il mondo preferisce le tenebre alla luce, il male al bene. Che tristezza! Eppure, grida con forza l’evangelista: «Lui era la luce, solo Lui era la luce, quella vera, quella che illumina ogni uomo». Come non credere e non accogliere quella luce, che si accese fin dal primo giorno della storia umana, fin dal giorno della creazione? In questo amaro rifiuto risiede anche la pienezza e l’autenticità dell’amore del Padre e della sua infinita misericordia che non si rassegna alla perdita di neanche uno dei suoi figli. Il Prologo ha infatti sempre, come d’altronde tutta a Parola di Dio, anche nelle sue pagine più forti e drammatiche, un messaggio di speranza sempre nuovo: «A quanti però lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati». Che notizia meravigliosa! Siamo stati generati da Dio, siamo cioè suoi figli, e in quanto figli di Dio, anche noi apparteniamo alla splendida famiglia divina: è questa è sì una grazia (karis), un dono da parte di Dio, ma è anche un potere, ossia una forza (dynamis), una energia che se adeguatamente accolta e pienamente vissuta, ci rende “invincibili”, “insuperabili” dal punto di vista spirituale. Questo non ci fa sentire, certo, migliori degli altri, ma ci riveste di una grande responsabilità e ci affida una importante missione: essere noi, oggi, quella luce vera che illumina ogni uomo. Preghiamo affinché il mistero del Natale del Signore non resti lettera morta, ma diventi ogni giorno di più evangelo, buona notizia, novità perenne, che rinnova la vita.