Sac. Simone Vittorio Gatto
Rinnovando l'impegno a vivere nella fede l'inizio di questo anno sociale, guardiamo con rinnovata gratitudine a tutti i doni che il Signore ha posto nelle nostre mani.
L'odierna liturgia ci fa posare lo sguardo sul mistero della Vergine Madre, la quale, docile ancella del Signore, concepisce il Figlio di Dio nella carne e lo dona al mondo per la salvezza di tutti.
Nella Prima Lettura, tratta dal libro dei Numeri, siamo posti davanti alla benedizione che il Signore, per mezzo di Mosè, mediatore presso il Popolo, vuol far giungere a tutto l'Israele di Dio, mediante il ministero sacerdotale di Aronne.
Tuttavia, ciò che i padri hanno contemplato in figura, entrando nella terra promessa, luogo dove scorre latte e miele, e dove i frutti sono abbondanti, per mezzo di Maria sono realmente affidati alle nostre mani e riversati nei nostri cuori.
Nella Scrittura, infatti, la benedizione del Signore si pone come un'attenzione alla debolezza dell'uomo, il quale necessita del sostegno di Dio per rimanere fedele ai comandamenti. Maria, come donna della promessa e Cattedrale del silenzio, è colei nella quale la benedizione del Signore risuona come parola al punto che, nel suo grembo, arriva a farsi carne.
Per il privilegio di essere Madre di Dio, fu preservata da ogni macchia di peccato, meritando così, a ben diritto, di essere da tutti noi pregata come "benedetta fra le donne", così come benedetto è il frutto del suo grembo.
Attraverso di lei, quello che nell'Antico Testamento poteva essere un auspicio per il popolo: "il Signore faccia splendere per te il suo volto", diviene una realtà in quanto, se è pur vero che nessuno ha mai visto Dio, "l'Unigenito del Padre, che è Dio, ce ne ha rivelato il volto".
Mediante il sì di Maria, risuonato generoso agli orecchi dell'angelo, il nome di Dio non è posto solamente sugli Israeliti, ma rimane scolpito nel cuore di tutti gli uomini di buona volontà "i quali, non da carne né da volere di sangue, ma da Dio sono stati generati".
Il Figlio di Dio, venuto nella carne, è dunque donato come "il Salvatore potente, il Dio forte, come colui per il quale le nazioni si rallegrano, perché viene a giudicare la terra, esercitando il diritto con giustizia".
Davanti a lui i Re della terra tacciono e i piccoli sono colmati di gioia. Inoltre, come ci ricorda il Magnificat, per mezzo del Verbo fatto carne, la giustizia del Signore rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili.
In Maria, ancora, viene rivelata la pienezza del tempo; l'ora in cui il Figlio di Dio può nascere da donna, nascere sotto la Legge, affinché tutti possano essere riscattati dalla Legge stessa, e ricevere l'adozione a figli.
Così come ci ricorda l'apostolo Paolo, “la Legge non ha mai salvato nessuno, perché la lettera uccide, mentre è lo Spirito che dà vita”.
Mediante l'incarnazione viene rivelato a noi, attraverso la piccolezza e l'umiltà del bambino, tutta la potenza di Dio, e il nome nel quale è scritto che possiamo essere salvati, poiché, come ricorda l'apostolo, “nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore”.
Attraverso l'incarnazione del Figlio di Dio, il quale giunge a noi come luce che attraversa un vetro nitido senza infrangerlo, come ci ricordano i Padri della Chiesa, è data a tutti la possibilità di uscire dall'ombra che attanaglia il nostro cuore per correre incontro alla luce che le tenebre non possono sopraffare.
Il Cristo, il Verbo del Padre, il Logos che ci rivela il volto di Dio, rimane dunque l’unica e l'ultima parola, la più significativa. Sin dai tempi antichi, ricorda la Lettera agli Ebrei, Dio ha parlato ai padri per mezzo dei profeti, ma in questi tempi, che sono gli ultimi, il Padre ha fatto carne, in Maria, la parola stessa, affinché la Verità, rendesse liberi tutti gli uomini schiavi della menzogna.
Era, dunque, necessario, per quanti stavano nelle tenebre e nell'ombra di morte, che una luce sorgesse. Era, altresì, necessario, che l'atto di superbia dei progenitori fosse riscattato da un atto di umiltà. Dio, infatti, in Maria, "ha guardato all'umiltà della sua serva" e, attraverso di lei, ci ha donato il mite ed umile di cuore, il quale chiede di essere seguito affinché possiamo imparare da lui tali virtù.
In conclusione, guardando al Vangelo di Luca, il quale ci esorta nuovamente a riprodurre l'atteggiamento dei pastori che, senza indugio, lasciano il gregge che vegliano di notte, per cercare il supremo pastore, che viene a loro come luce, vogliamo impegnarci a ridestare in noi il reale bisogno di Dio. L’annuncio giunge ai pastori, perché proprio loro, nella notte, vegliano. Ricorda un Salmo, che “non prende sonno il custode d’Israele”. A noi, dunque, è chiesta la stessa vigilanza.
I pastori, ancora, trovando Maria, Giuseppe e il bambino, non si fermano all'icona del presepe, ma riconoscono nella debolezza della carne, la reale presenza di Dio. Solo questo atto di Fede avrebbe potuto giustificare quanto l'evangelista Luca racconta: "dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro". Inoltre, dice ancora il testo, “se ne tornarono glorificando Dio”.
Per cosa avrebbero dovuto glorificare o cosa avrebbero dovuto raccontare se nella mangiatoia avessero soltanto trovato un bambino? Poiché, invece, trovarono l’autore della vita, “il loro messaggio corse veloce”.
Facciamo anche noi tesoro dell’umile atto di fede dei pastori, e torniamo a glorificare Dio con la nostra voce, portando ai fratelli quanto del bambino è stato detto anche a noi. E da Maria, la quale “custodisce ogni cosa nel suo cuore”, apprendiamo l’arte di magnificare il Signore, riconoscendo che il Suo nome è Santo tra le genti.